Perchè sei una persona con obesità

E non un obeso/a

NON sei diabetico/a. Sei una persona CON diabete 

NON sei obeso/a. Sei una persona CON obesità.

NON sei depresso/a. Sei una persona CON depressione.

NON sei sieropositivo/a. Sei una persona CON HIV.

NON sei anoressico/a. Sei una persona CON anoressia

Può sembrare la stessa cosa. Può sembrare una precisazione priva di senso. Può sembrare un vizio di forma da circolo letterario. Come mai allora ormai molte delle più recenti linee guida sulla gestione della più disparate patologie hanno sentito la necessità di adottare tale distinzione?

Il linguaggio conta

Pignoleria? Clan del politicamente corretto? Lobby delle preposizioni? 

Niente di tutto ciò. Solo e semplice buonsenso. Questa precisazione nella descrizione della patologia di cui soffre una persona, per quanto possa sembrare inutile e banale, segna una grande differenza nell’accettazione e nella convivenza di quell’individuo con la malattia stessa. A maggior ragione se si tratta di un disturbo per cui il soggetto può sentirsi colpevolizzato dalle dinamiche della società in cui vive.

Facciamo un esempio

Dire a Maria che è obesa può portarla ad identificare tutta la sua persona con quella patologia e sentirsene avvolta a 360 gradi. Ed identificarsi completamente con una malattia fino a fondere la propria immagine con essa, oltre ad essere mortificante, non permetterebbe al soggetto di scindere dal disturbo tanti altri aspetti della propria persona che invece sono positivi.

L’obesità è UNA PARTE di Maria, NON la sua totalità.

L’obesità è UNA PARTE di Maria, NON Maria. 

Maria è una persona con un lavoro, con due figli, con la passione per la fotografia e con obesità.

Maria è un’obesa con un lavoro, con due figli e con la passione per la fotografia.

Abbiamo espresso lo stesso concetto, ma con quale delle due frasi vi sentireste meno “malati” e “mortificati”?

Il medico fa lo psicologo?

Certo che no. E anzi è importante, soprattutto nella gestione di patologie croniche, che sia presente un supporto da parte di professionisti del settore.

Allo stesso modo è però fondamentale che il medico, la prima figura a cui si approccia il malato e colui che ha il compito di comunicare la diagnosi, utilizzi i termini più adeguati per risultare chiaro ma al contempo delicato e rispettoso, aiutando il paziente ad accettare la malattia come una parte della propria persona e non come la totalità di essa. Senza sottovalutarla ma senza nemmeno sentirsi totalmente fuso con essa. 

Le malattie non si scelgono. Il modo in cui viverle (e comunicarle) invece sì. 

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